
Il lunedì di Pasquetta da poco passato, il mondo si è fermato a salutare il Santo Padre, e anche i nostri piccoli riti quotidiani si sono raccolti nel silenzio e nel rispetto.
Per questo motivo, non ho potuto raccontarvi questa storia dedicata proprio a quel giorno.
Oggi, con un po’ di ritardo ma con lo stesso cuore, voglio finalmente condividerla, perché certe storie, soprattutto a Napoli, non si cancellano: aspettano il momento giusto per essere donate.
‘A Lezione ‘e Pasquetta
A Napoli certe cose non si spiegano, si tramandano. Come la frittata di maccheroni il lunedì di Pasquetta, o la convinzione che quel giorno lì, il giorno dopo la Resurrezione, valga quanto la Pasqua stessa.
Gennaro, settantatré anni, voce di chi ha gridato cori allo stadio e poesie alle feste, era il maestro non ufficiale di queste tradizioni. Ogni anno, mentre gli altri si affannavano a decidere dove andare, lui si presentava con la stessa cesta di vimini, i soliti panini col salame, il vino buono e un sapere antico che nessuno gli aveva insegnato: quello di chi ascolta il tempo, più che i telegiornali.
“Pasquetta nun se scorda,” diceva. “Nun è ‘nu semplice giorno ‘e picnic. È ‘o giorno doppio: quello dopo la fede, dopo ‘a speranza. È ‘a conferma che ‘a vita continua.”
Quell’anno, però, il cielo aveva deciso diversamente. Nuvole nere, vento fitto, pioggia a secchiate. I nipoti avevano rinunciato, i vicini s’erano rintanati. Gennaro no. Salì comunque sul tetto del palazzo, mise due sedie di plastica sotto un ombrellone sdrucito e si versò un bicchiere.
Poi, come spesso accade a Napoli, successe l’inspiegabile: una processione silenziosa di figli, nipoti, amici e curiosi iniziò a salire, uno alla volta, chi col casatiello, chi col dolce avanzato, chi solo con la voglia di esserci. Si sedettero, stretti, bagnati, e ascoltarono Gennaro parlare.
“‘O sapite pecché se chiama Lunedì in albis? Perché ‘na vota, ‘e cristiani che se facevano battezzà la notte ‘e Pasqua, portavano addosso ‘sti vesti bianchi, simbolo ‘e rinascita. ‘O lunedì se li levavano. Era finita ‘a cerimonia, ma cominciava ‘a vita vera. Senza ‘e vesti, ma cu ‘nu core nuovo.”
Fece una pausa, guardando il golfo, che piano piano si stava aprendo tra le nuvole.
“E poi ce sta ‘o fatto d’‘o l’angelo. Maria Maddalena e ll’ate femmene jetteno ‘o sepolcro, e trovano ‘nu giovane vestuto ‘e bianco. ‘Nu angelo. Dice: ‘Nun è qui. Gesù è risorto’. ‘Na notizia semplice, ma tremenda. ‘Na notizia che ce spinge a uscì, a respirà, a vive.”
Qualcuno ridacchiò. Qualcun altro alzò il bicchiere. Qualcun altro ancora guardò il cielo, e giurò di aver visto un raggio di sole.
“E allora Pasquetta che cos’è?” concluse Gennaro, sorridendo. “È ‘a festa d’‘o giorno dopo. Quanno nun ce stanno chiacchiere, né prediche. Quanno restano solo ‘e persone. Cu ‘na tovaglia, ‘na frittata e ‘nu pensiero buono. È ‘na specie ‘e miracolo laico, ma pur’isso sacro.”
E così, sotto una pioggia gentile e una luce appena nata, Napoli celebrò ancora una volta il suo rito più sincero: la fede nella vita che ritorna, tra una risata e un boccone, tra la memoria e l’attesa.