
Napoli, settembre 1943. La città era in ginocchio, ma non piegata. Le bombe avevano spaccato i palazzi, sventrato le strade, ma non avevano toccato l’anima. Quella restava intatta, bruciante.
Salvatore aveva 12 anni. Troppo grande per non capire, troppo piccolo per combattere davvero. Ma bastava guardarlo negli occhi per sapere da che parte stava.
Scendeva ogni mattina con il nonno Michele, ex marinaio del Regio, con un braccio malandato e una voce che sapeva di mare e di verità. Camminavano nei Quartieri Spagnoli, dove l’odore del ragù si era mescolato con quello del fumo e della paura.
«Nonno, ma noi che possiamo fare contro i tedeschi?», gli aveva chiesto Totò il secondo giorno, quando aveva visto i soldati nazisti portare via i giovani dalle case come sacchi di patate.
Il nonno lo aveva guardato senza sorridere. Poi, indicandogli una donna incinta che passava con una molotov nascosta nella borsa della spesa, gli disse:
«Figlio mio, ‘o coraggio nun tene età. E a libertà, ce la pigliammo sempre co’ ‘e mmane nuoste.»
In quei quattro giorni – tra il 27 e il 30 settembre 1943 – Napoli fece qualcosa che nessun’altra città d’Europa aveva ancora fatto: si liberò da sola, senza eserciti, senza patti, senza ordini. Quartiere per quartiere, i napoletani si sollevarono come un solo corpo: scugnizzi e professori, madri e vecchi, operai e preti.
Fuoco contro ferro. Fionde contro mitragliatrici. Parole contro il silenzio della paura.
Quando gli alleati entrarono il 1° ottobre, Napoli era già libera. Aveva vinto da sola.
Il nonno quel giorno si accese una sigaretta che teneva da parte da mesi. Guardò il cielo, poi il nipote.
«Ricòrdatelo, Totò. Sta città resiste da mille anni. E resisterà ancora, ogni volta che qualcuno proverà a calarci la testa.»
Totò crebbe con quella frase tatuata nell’anima. E ogni volta che vedeva Napoli insultata, dimenticata o schiacciata, si ricordava di quei quattro giorni.
Quattro giorni. Bastarono per scrivere la storia.
Perché Napoli non aspetta mai il permesso per essere libera.
Lo decide da sé. Lo grida. E se serve, lo combatte.