
Ma oggi vi porto a venerdì sera.
Una di quelle che non si dimenticano.
Perché ci sono notti che non hanno bisogno del giorno per restare accese.
E venerdì sera, come poche altre, abbiamo capito ancora una volta che non è solo calcio.
È casa. Sono le voci dei vicoli, la radio accesa anche quando si fa silenzio.
È quello che ci unisce quando ci sentiamo lontani, smarriti, dimenticati. Quando poi dici “Napoli”… e tutto torna.
Venerdì sera, appunto, guardavo mio marito Marco, che per la prima volta dopo anni non si è abbonato allo stadio perché quest’anno ha scelto di vivere le partite accanto a suo padre, Umberto, che ha quasi 88 anni.
E accanto a loro c’era anche Matteo, il figlio di Marco, e Stefano, il fratello più piccolo.
Tre generazioni. Uno accanto all’altro.
Mani che si stringevano nell’attesa, abbracci al primo gol, occhi lucidi all’ultimo fischio.
E io, un po’ in disparte, li guardavo e pensavo: eccolo, il senso di tutto.
Il Napoli non è una squadra. È una storia che si tramanda. È appartenenza. È un modo di sentire. È quello che ci fa battere il cuore allo stesso ritmo anche se siamo a chilometri di distanza, anche se non ci vediamo da anni, anche se non ci conosciamo.
E poi ci pensi, e capisci che quella scena — tre generazioni unite da un’unica fede — si è ripetuta ovunque nel mondo.
A Londra come a New York, a Tokyo, a Madrid, a Parigi, a Berlino… ma anche a Milano, Roma, Torino, Bologna…
Ovunque ci sia un napoletano, venerdì notte c’è stato un urlo, una lacrima, un abbraccio.
Non ce lo siamo detti, ma lo sapevamo.
Perché Napoli è un sentimento che viaggia con te.
Non lo lasci mai davvero. E quando succede qualcosa così grande, così vero, lo viviamo insieme. Sempre.
Io, come tante donne della mia generazione, non sono nata tifosa.
Ma poi succede una cosa: ti accorgi che tifare per il Napoli, in fondo è tifare per Napoli.
Per la tua terra, per la tua gente, per la tua identità.
È un amore che nasce piano piano, e poi non va più via.
E così, senza accorgertene, ti ritrovi anche tu a stringere i pugni, a trattenere il respiro, a piangere davanti alla televisione.
Perché amare il Napoli è amare chi siamo. E io, oggi più che mai, so di non poter amare questa città a metà.
Questo scudetto è per chi c’era, per chi non c’è più, per chi non ha fatto in tempo.
È per chi ama Napoli come si ama qualcosa che ti ha insegnato a vivere.
È per chi la sente scorrere nel sangue, anche quando è lontano.
E quando il cuore batte azzurro… non c’è distanza che tenga.
Napoli ti chiama, e tu rispondi. Sempre.
Roberta