
La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha respinto l’istanza di accesso alla giustizia riparativa presentata da Alessandro Impagnatiello, condannato all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Tramontano, incinta di sette mesi.
Una decisione giusta e sacrosanta, che ribadisce principi fondamentali:
La gravità del crimine parla da sola. Giulia ha subito 37 coltellate e un lento avvelenamento, in un piano lucido e spietato che ha spento due vite innocenti.
La giustizia riparativa non è un automatismo. È un percorso volontario che richiede pentimento autentico, piena assunzione di responsabilità e il consenso di entrambe le parti, quindi anche della famiglia della vittima. Nel caso di Giulia, questi requisiti non c’erano.
La famiglia ha detto no. Senza il consenso dei familiari, che hanno espresso la loro opposizione con dolore ma con chiarezza, non può e non deve aprirsi alcun percorso riparativo.
Io sono una sostenitrice convinta della giustizia riparativa. Ci ho lavorato in prima persona, consapevole di quanto possa essere preziosa per ricostruire vite spezzate, comunità e percorsi di reinserimento. Ma ci sono limiti a tutto. Davanti a crimini efferati come questo, la giustizia deve restare ferma, intransigente e preservare la dignità delle vittime e dei loro familiari.
Opinione personale: Non tutto può essere “riparato”. Alcuni atti richiedono pene esemplari, perché la società, le donne, i bambini e le famiglie sappiano che lo Stato c’è, e che certi crimini non saranno mai relativizzati.
Condivido questa riflessione con voi per continuare a lottare contro il femminicidio, per la giustizia vera e per la tutela delle donne